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ALLA MENSA DELLA PAROLA - AUTORI VARI  

Data inserimento: 04/03/2005
E GLI SI PROSTRÒ INNANZI (IV DOMENICA QUARESIMA)


Vangelo (Gv 9, 1-41)
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”. Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”.
Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: “Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?”. Alcuni dicevano: “E` lui”; altri dicevano: “No, ma gli assomiglia”. Ed egli diceva: “Sono io!”.
Allora gli chiesero: “Come dunque ti furono aperti gli occhi?”. Egli rispose: “Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista”.
Gli dissero: “Dov'è questo tale?”. Rispose: “Non lo so”.
Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo”.
Allora alcuni dei farisei dicevano: “Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Altri dicevano: “Come può un peccatore compiere tali prodigi?”. E c'era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco: “Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “E` un profeta!”.
Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: “E` questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?”. I genitori risposero: “Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso”. Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano gia stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: “Ha l'età, chiedetelo a lui!”.
Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: “Dá gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore”. Quegli rispose: “Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo”. Allora gli dissero di nuovo: “Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?”.
Rispose loro: “Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”.
Allora lo insultarono e gli dissero: “Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia”.
Rispose loro quell'uomo: “Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”.
Gli replicarono: “Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?”. E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: “Tu credi nel Figlio dell'uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”.
Gli disse Gesù: “Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui”. Ed egli disse: “Io credo, Signore!”. E gli si prostrò innanzi.
Gesù allora disse: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”.

Le domeniche di Quaresima che stiamo vivendo sono le domeniche di maggior impegno per la liturgia nel corso dell'anno. Durante questo cammino verso la Pasqua, essa ci propone i massimi misteri della fede, come avveniva nei primi giorni della Chiesa, quando, in questo periodo, si preparavano i catecumeni al battesimo. Un segno di tale impegno sono i brani evangelici particolarmente lunghí e densi di simbolismo. Un segno è anche il prefazio proprio di queste domeniche con il quale la liturgia offre, essa stessa, un commento orante del Vangelo. Oggi tale prefazio suona cosí: « Nel mistero della sua íncarnazione egli si è fatto guida dell'uomo che camminava nelle tenebre, per condurlo alla grande luce della fede. Con il sacramento della rinascita ha liberato gli schiavi dall'antico peccato per elevarli alla dignità di figli ».
Due cose la liturgia vede, dunque, nel Vangelo di oggi: la fede e il battesimo. Dopo la domenica della Samaritana e dell'acqua, oggi è la volta di un altro grande simbolismo: quello della luce. E' difficile e raro che qualcuno si commuova di fronte alla luce, come di fronte all'acqua. Quando ne facciamo la prima scoperta, a pochi giorni dalla nascita, è troppo presto per apprezzarla. Poi ci diventa talmente familiare che non ce ne accorgiamo piú. Eppure, senza questa attenzione alla luce naturale, senza un certo gioioso trasalimento quando, al risveglio, essa inonda gli occhi e la casa, poco o nulla capiremo dell'altra luce. Gesú dirà invano: « lo sono la luce del mondo » e « lo sono la luce della vita ». L'evangelista Giovanni non ci propone, per fortuna, astratte riflessioni su Cristo-luce; riferisce un fatto: Gesú che ridona la vista a un cieco. L'episodio è narrato con tale meticolosità da far pensare a una specie di inchiesta con interrogatori e testimoni. Ma alla fine ci accorgiamo che l'evangelista ha voluto dirci soprattutto due cose. Primo: quel cieco era ognuno di noi; anche noi siamo andati un giorno alla piscina di Siloe - il fonte battesimale -, ci siamo lavati e siamo tornati che ci vedevamo. Secondo: la luce che ci ha dato è la fede. Quel ragazzo cieco alla fine incontrò di nuovo Gesú ed esclamò: « Io credo, Signore ». Questa frase è l'equivalente di tutte quelle esclamazioni pronunciate dal cieco: ho acquistato la vista, ci vedo, mi ha aperto gli occhi. Battesimo e fede sono veramente i contenuti simbolici del brano evangelico. La liturgia ha visto bene. Ma, a questo punto, ci sorge un dubbio. Tutto, dunque, si è già compiuto all'alba inconsapevole della nostra vita, nel rito battesimale? Nulla che riguardi la nostra esistenza di adesso, le nostre scelte del momento? « Fratelli - dice infatti Paolo nella seconda lettura - un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore ». Ma siamo davvero ora tutti e solo luce? Perché, allora, quella specie di grido finale, come nella notte, che ci è rivolto da Paolo: « Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà »? La verità è che noi siamo in parte nella luce e in parte ancora nelle tenebre. Abbiamo, sí, ricevuto la virtú teologale della fede, ma come un germe che deve crescere, una possibilità da sviluppare. Il resto è tutto da fare tra Dio e la nostra libertà. La nostra posizione è veramente paradossale. Siamo come su quel filo che divide una zona luminosa da una in ombra: dovunque ci spostiamo portiamo attaccata a noi quella zona d'ombra. E' la nostra umanità non ancora riscattata) non evangelizzata. Sono le spinte tenebrose che san Paolo ha chiamato « le opere infruttuose delle tenebre ». Quello che si agita in questa zona d'ombra è vergognoso perfino parlarne: « fornicazione, idolatria, inimicizie, discordia, gelosie, dissensi, invidie, ubriachezze » (Gal. 5, 19-21). Luce e tenebre indicano, dunque, qualcosa di piú che le verità di fede che già conosciamo e le verità che ancora ignoriamo. Designano invece le opere concrete, le scelte evangeliche, o contrarie al Vangelo, che compiamo giorno per giorno. C’è, però, un altro simbolismo della luce che non possiamo oggi lasciare inesplorato. Perché la nostra fede è paragonata a una luce? Che cosa fa la luce? Essa ci rivela le cose, ci dà il senso delle distanze e delle proporzioni, ci dà l'orientamento. E' capitato a tutti di trovarsi al buio in una stanza e non vedere piú nulla, non sapere piú dov'è la porta, dove la finestra, e con la continua paura di andare ad urtare contro qualche ostacolo. Ora, cosí - ci dice Paolo - avanzava nella vita l'uomo pagano prima di Cristo: « come a tentoni » (Atti, 17, 27). Venne Cristo e fu come il sorgere di una grande luce. Egli rivelò agli uomini il Padre, il senso della vita e del mondo. Diede una risposta a quegli eterni interrogativi che l'uomo da sempre si pone e che un autore del II secolo cosí formulava: « Chi siamo? Donde veniamo? Dove andiamo? » (Estratti di Teodoto). La fede dà, dunque, al credente una visione della vita. E' forse strano che anche oggi il credente domandi alla sua fede di dargli una visione dei mondo e dei problemi della vita? E' strano che il cristiano ricerchi nella sua fede una risposta a problemi come quelli della giustizia sociale, dei rapporti di lavoro, della malattia, del tempo libero, del matrimonio, dell'aborto? Eppure c'è una pressione fortissima oggi da parte di certe forze, le quali pretendono dal cristiano che, nasconda, per cosí dire, la sua fede e le sue certezze, quando dalla preghiera passa alla prassi e dalla chiesa alla piazza. Se non fa cosí, è accusato indiscriminatamente di integrismo. Quello che si vorrebbe è una fede cieca, un cristiano schizofrenico, cioè scisso in due: l'uomo e il cittadino da una parte, il credente dall'altra. E' una pressione alla quale troppi cristiani oggi cedono psicologicamente, riducendo cosí la fede a un vestito di festa che si indossa solamente la domenica per andare a Messa. Ma che cos'è tutto questo se non, appunto, un accendere la lucerna e riporla poi sotto il moggio? (Mt. 5, 15). Cristo non pensava certamente cosí: egli, anzi, ha parlato di una luce che dev'essere posta sul candelabro per illuminare quelli che sono nella casa. Una luce, cioè, che deve servire non solo al discepolo, ma anche agli altri abitatori del mondo che magari non credono ancora. Il cristiano non può contentarsi di essere « un illuminato »; deve essere anche « un testimone della luce » (Gv. 1, 8). Non è, perciò, a prezzo di una tale rinuncia che si può chiedere a un credente di collaborare con altre forze ideologiche e politiche. Mi torna spesso in mente ciò che dice una giovane ebrea cieca a un cristiano, in un dramma di P. Claudel: « Voi che ci vedete, cosa ne avete fatto della luce? » (Le père bumilié). Già, che uso stiamo facendo, noi discepoli di Cristo, della luce ricevuta? E' possibile accorgersi, standoci vicino, sentendoci parlare, che siamo uomini di fede, che giudichiamo le persone e gli eventi del mondo con le certezze che ci vengono dal Vangelo? Camminiamo davvero « come figli della luce » (Ef. 5, 8), cioè da persone oneste e schiette? Gli occhi di tutti ricevono la luce, ma i nostri devono anche donarla; il nostro occhio - ha detto Gesú deve essere una lucerna (Mt. 6, 22). Ora, dopo averci parlato nel suo Vangelo, il Signore Gesú ci chiama a sederci a mensa con lui. Egli sa che non abbiamo bisogno solo di luce per vederci, ma anche di cibo per essere fortificati e non venir meno per via. « La luce del mondo » (Gv. 8, 12) viene a seppellirsi dentro di noi, « sotto il nostro tetto ».



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