Data pubblicazione: sabato 22 marzo 2003
|
|
RUBRICHE - VIVERE INSIEME
RAGIONERIA DI GUERRA
Per comprendere bene quello che sta succedendo occorre fare qualche passo indietro nel tempo e guardare i retroscena di un attacco, quello americano, che si consumò nel 1991. Forse la domanda potrà sembrare banale, anche perché i talk show televisivi non stanno parlando che di questo: perché si vuole in modo irrisoluto una guerra, quando più di 100 milioni di persone in tutta Europa e anche nel mondo gridano pace? La risposta è nelle cifre: 40 miliardi di dollari è la cifra che si è sborsata per la guerra del golfo. Una cifra enorme che solo a pronunciarla fa rabbrividire. Qualcuno potrebbe pensare che questa cifra sia stata completamente caricata dal fisco sulle spalle degli americani… il 25% dei costi sono stati sostenuti dagli USA e il restante 75% dai paesi arabi in particolare Kuwait e Arabia Saudita. Se poi si vanno a vedere le quotazioni storiche del petrolio ci si accorge che prima della guerra del 1991 il prezzo dell’oro nero era di 15 dollari al barile e durante la stessa è rincarato fino a 42 dollari con un guadagno extra stimato intorno ai 60 miliardi (parliamo sempre di dollari). Nei Paesi Arabi vige la legge del fifty-fifty: 50% al governo locale, 50% alla multinazionale che controlla il giacimento. Quindi alla fine della partita le somme sono state divise equamente tra il governo saudita e kuwaitiano con le grandi compagnie petrolifere. L’opinione pubblica, che ha memoria lunga, ricorderà come l’estrazione e il commercio del petrolio nell’area mediorientale è in mano alle famose sette sorelle, di cui 5 sono proprietà del governo americano. In soldoni significa che dei 30 miliardi di dollari 9 sono andati ai privati e 21 al governo americano. La morale è presto fatta: il governo americano per la guerra di liberazione del Kuwait, sentito come dovere morale, si è messo una mano sul cuore e l’altra sulla tasca che si è trovata piena di un guadagno netto di 21 miliardi di dollari. Alla fine è facile capire che la guerra è stata pagata da tutti i consumatori di carburante e da coloro che utilizzano tutti i prodotti derivati dal petrolio, cioè noi. C’è da aggiungere a questa cifra anche tutto il guadagno derivato dall’indotto bellico che si è messo a produrre a ritmi serrati tanto da far fruttare la bellezza di 49 miliardi di dollari. I 40 miliardi di dollari spesi per la guerra sono andati a finire nell’industria bellica che, guarda caso, è anch’essa in mano agli americani. La matematica non è una opinione e quindi tra guadagni dell’indotto bellico e aumento del greggio si è arrivati alla modica cifra di 60 miliardi di dollari. E’ facile capire il perché della guerra in Afghanistan e di quella appena cominciata in Iraq. La prima aveva come principale obiettivo l’instaurazione di un governo fantoccio che desse il via libera alla costruzione di un oleodotto (di proprietà americana) lungo 2.500 km attraverso il suo territorio. Questo oleodotto, di importanza strategica, ha come unica alternativa la costruzione di un altro oleodotto, lungo 5.500 km, enormemente più costoso da costruire e da mantenere, a causa delle tasse che i paesi attraversati imporrebbero agli USA. Molto più facile, quindi, radere al suolo un paese già martoriato da 30 anni di guerra e renderlo una propria dependance, con la possibilità di costruire e gestire l’oleodotto-scorciatoia in tutta tranquillità. Per capire come mai Bush jr. voglia attaccare di nuovo l’Iraq bisogna invece sapere che gli USA sono in rotta con i loro maggiori fornitori di petrolio nell’area mediorientale: l’Arabia Saudita. La rottura sta diventando insanabile, sia perché l’Arabia Saudita è uno dei Paesi maggiormente coinvolti nel terrorismo di Bin Laden, in quanto lauti finanziatori, sia perché l’opinione pubblica internazionale è schierata in massa contro buona parte del mondo islamico che non rispetta i più elementari diritti umani. Per l’amministrazione Bush si è quindi creato un obiettivo prioritario: cercare un’alternativa petrolifera all’Arabia Saudita nell’area mediorientale. Il modo più facile, ovviamente, è fare una guerra all’Iraq e instaurare un regime fantoccio alla dipendenza diretta degli stessi USA. La domanda che sorge spontanea è: perché l’Iraq?. L’Iraq offre facili pretesti: è un paese che non può difendersi perché la povertà causata dall’embargo provoca la morte per fame di 300.000 bambini ogni anno; la presenza di armi di distruzione di massa, che peraltro sono sviluppabili solo con un’altissima tecnologia e notevoli capitali, due cose che l’Iraq proprio non possiede per giustificare l’attacco agli occhi dell’opinione pubblica, che nulla sa delle vere cause della guerra (le lotte per il controllo del petrolio); l’Iraq non gode della protezione di nessuno stato potente, in grado di opporsi con decisione alla minaccia di un attacco americano; la presenza di un dittatore feroce. Adesso non vi illudete dell’annuncio sibillino e ingannevole dato circa la diminuzione del prezzo dei carburanti. Aspettate qualche mese e poi mi direte…Non rinunciate, nonostante tutto, a gridare “Pace”.
Don Salvatore Danilo DAlessandro
|