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ALLA MENSA DELLA PAROLA - AUTORI VARI  

Data inserimento: 09/03/2005
LA DOMENICA DI LAZZARO (V DOMENICA QUARESIMA)


Vangelo (Gv 11, 1-45)
In quel tempo, era malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella.
Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato.
Le sorelle mandarono dunque a dirgli: “Signore, ecco, il tuo amico è malato”. All'udire questo, Gesù disse: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”.
Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro.
Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea!”.
I discepoli gli dissero: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”.
Gesù rispose: “Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce”. Così parlò e poi soggiunse loro: “Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Gli dissero allora i discepoli: “Signore, se s'è addormentato, guarirà”. Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!”. Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui!”.
Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello.
Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!
Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà”.
Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”.
Gli rispose Marta: “So che risusciterà nell'ultimo giorno”.
Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”.
Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”.
Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: “Il Maestro è qui e ti chiama”. Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: “Va al sepolcro per piangere là”. Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”.
Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse:
“Dove l'avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”.
Gesù scoppiò in pianto.
Dissero allora i Giudei: “Vedi come lo amava!”. Ma alcuni di loro dissero: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?”.
Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra.
Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni”.
Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. E, detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: “Scioglietelo e lasciatelo andare”.
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.


C'è stata una progressione nel «rivelarsi» di Gesù in queste ultime Domeniche di Quaresima, se le ripercorriamo alla luce di certi episodi particolarmente significativi e «simbolizzanti» del Vangelo di Giovanni: egli è «l'acqua» che disseta il nostro bisogno di felicità e d'infinito (l'in¬contro con la Samaritana); egli è la «luce» che rischiara le nostre tenebre (la guarigione del cieco nato). Oggi ci viene presentato come Colui che possiede la «vita» e dà la «vita», in un gesto concreto di potenza e di esplosione delle forze che sono in lui: la risurrezione di Lazzaro.
Tutto questo, ovviamente, viene inteso e presentato dalla Liturgia quaresimale come un modello di trasformazione interiore per cui anche noi, sospinti dalla grazia del Signore, siamo invitati a muoverci verso la sorgente dell’«acqua» e della «luce» che è Cristo, per ricevere da lui la «pienezza» della vita (cf Gv 10, 10).
Come si vede, i vari «simboli» si unificano in Cristo e trovano la loro massima espressione in quello della «vita», ciò che noi tutti più deside¬riamo, perché facciamo quotidianamente l'esperienza della sua fragilità e della sua fugacità. Anche il Salmista pregava Dio gridandogli: «In te è la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce» (Sal 3 6, 10).
La Quaresima non può chiudersi in se stessa: essa marcia prepoten¬temente, sia pure attraverso molteplici esperienze di morte e di «morti¬ficazione» (per riprendere il linguaggio paolino: Rm 8,13, ecc.), verso il luminoso traguardo della «risurrezione» pasquale.
In realtà tutta la Liturgia di questa domenica è centrata sulla cele¬brazione della «vita»: non però della vita allo stato puro, direi, ma della vita che nasce, o rinasce, da una esperienza di morte, e perciò è anche più bramata e sognata. E’ come riacquistare la salute dopo essere stati am¬malati: tutto sembra più bello, più saporoso, più nuovo, più entusia¬smante e gioioso! Si apprezza sempre di più ciò che ci è costato rischio o fatica.
La prima lettura ci riporta solo la parte conclusiva della grande visio¬ne delle «ossa aride» di Ezechiele (37,1 14). Esse stanno a rappresentare la situazione degli Ebrei deportati in esilio a Babilonia e il «disseccarsi» or¬mai della loro speranza di un prossimo ritorno in patria: «Figlio dell'uomo, queste ossa sono tutta la gente d'Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre os¬sa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti» (Ez 37,11).
E a questo punto che si inserisce il tratto liturgico odierno, in cui il Profeta preannuncia la restaurazione d'Israele, dopo le sofferenze del¬l'esilio, e il prossimo ritorno nella terra dei padri. E tutto questo viene detto con un'immagine grandiosa, piena di fascino e di commozione: è come se si scoperchiasse la «tomba» di un immenso esercito di morti!
«Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d'Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io so¬no il Signore. L'ho detto e lo farò» (Ez 37,12 14). Il rendere la vita ai «morti» è come compiere un gesto di creazione, che è proprio soltanto di Dio. Ecco perché si dice: «Riconoscerete che io sono il Signore» (v. 13). Ed ec¬co anche perché si fa appello alla potenza dello «spirito», che qui è so¬prattutto lo «spirito» della vita che anima e vivifica tutta la creazione (cf Gn 1,2; 2,7): «Tu mandi il tuo spirito e sono creati, rinnovi la faccia della ter¬ra» (Sal 104,30).
Pur trattandosi della restaurazione «collettiva» d'Israele, è chiaro che questa immagine così potente ed evocatrice orienta, in qualche maniera, anche al concetto della risurrezione «personale»,' che troverà l'espressio¬ne più clamorosa nella risurrezione di Cristo, di cui quella di Lazzaro è un segno anticipatore. In ogni modo, è evidente anche qui che la restaura¬zione d'Israele sarà prima di tutto un fatto «spirituale». Perciò nel capitolo immediatamente precedente il Profeta aveva preannunciato da parte di Dio: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 3 6,2 6). Nella prospettiva biblica la vita e la morte sono soprattutto eventi dello spirito.
E quanto ci ricorda anche san Paolo nel breve tratto ripreso dalla Let¬tera ai Romani, in cui esorta i cristiani a «vivere» non secondo la carne ma secondo lo Spirito. Proprio per la forza che lo Spirito ha di congiun¬gerci a Dio, che è la sorgente di ogni vita, ci riscatta dalla morte, anche da quella che fatalmente travolgerà il nostro corpo: «Se Cristo è in voi, il vo¬stro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustifi¬cazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, co¬lui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8, 10 11).
Abbiamo qui, in un certo senso, la realizzazione della profezia di Eze¬chiele (37,14): «Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete». Però la cosa nuova e interessante è che già fin da ora lo «Spirito di Dio», che è nello stesso tempo «lo Spirito di Cristo» (Rm 8,9), «abita in noi», alimentan¬do la nostra vita spirituale. Proprio per questa ricchezza di vita che egli produce in noi, lentamente lo Spirito riduce lo spazio della morte, pre¬parando così il terreno alla stessa nostra risurrezione «corporale».
Per i cristiani, perciò, il problema è quello di «vivere» nella «potenza» dello Spirito, lasciandosi da lui «guidare» (Rm 8,14): è l'unico modo per vincere la morte, «meritando» e anticipando così la nostra stessa «risur¬rezione» finale.
Tutto questo è detto, in una forma anche più convincente perché te¬stimoniata da un fatto clamoroso, dal miracolo della risurrezione di Laz¬zaro, riferitoci dal solo san Giovanni (11, 1 45). Data la lunghezza del brano, che però si svolge in una forma molto piana, dovremo acconten¬tarci di alcune annotazioni fondamentali.
E la prima è la seguente: la tenerezza dei rapporti di Gesù con Lazzaro e la sua famiglia. Infatti le due sorelle mandano ad avvisare Gesù della malattia del fratello con queste parole: «Signore, ecco, il tuo amico (lette¬ralmente, "colui che tu ami") è malato» (v. 3). Annunziando la morte di Lazzaro ai suoi Apostoli, Gesù dirà: 41 nostro amico Lazzaro si è addormen¬tato; ma io vado a svegliarlo» (v. 2 1). Davanti poi alla tomba del morto Gesù si turberà fino al punto di scoppiare in lacrime, tanto che molti commentarono: «Vedi come lo amava!» (vv. 33 36). San Giovanni, per conto proprio, osserva: «Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Laz¬zaro» (v. 5).
Questa intensità di affetti sembra contrastare con t'apparente disin¬teresse iniziale di Gesù verso il caso penoso, fattogli annunziare dalle due sorelle.
Infatti non ha nessuna fretta di andare a Betania, come annota in¬tenzionalmente il testo: «Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava» (v. 6). Quando poi arriverà a Betania, sono già quattro giorni che Lazzaro è stato posto nel sepolcro (v. 17). Se prima si poteva fare qualcosa, adesso non c'è proprio più nulla da fare, sembrano pensare le stesse sorelle, pur così fiduciose in Gesù: «Si¬gnore, se tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto!» (vv. 21.32). E quando egli preannuncia che Lazzaro risusciterà, Marta non nega questo, ma rimanda tutto alla risurrezione finale: «So che risusciterà nell'ultimo giorno» (v. 24). Anche molti dei presenti rimproverano a Gesù il suo ritardo: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco nato, non poteva far sì che questi non morisse?» (v. 37).
Come spiegare questo atteggiamento, apparentemente antitetico, di Cristo? C'è indubbiamente una finalità letteraria dell'Evangelista, che si dimostra abilissimo nel creare situazioni di forte tensione psicologica e di attesa del prodigioso.
Ma al di là di questo c'è anche una precisa intenzione teologica, che consiste nella «sdrammatizzazione» della morte. Gesù non s'affanna, non si precipita al letto dell'amico, quasi si sentisse anche lui prigionie¬ro della «paura» della morte (cf Eb 2, 15). Pur sentendone il dramma, l'orrore anche fisico per lo smacco che essa rappresenta nell'ordine della creazione, fino a «piangere» di tristezza e di dolore, egli sa e VUOI dimo¬strare che ormai anche la morte può essere vinta. Perciò subito all'inizio, quando riceve la notizia della malattia mortale dell'amico, commenta: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorifica to» (v. 4).
E Gesù sarà «glorificato», indubbiamente, dal miracolo che compirà richiamando a vita Lazzaro. t quanto egli ribadisce a Marta, che rimane incerta quando Gesù ordina di rimuovere la «pietra» dalla tomba e si af¬fretta a dirgli che «già manda cattivo odore» (v. 39): «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?» (v. 40).
Ma egli sarà soprattutto «glorificato» dalla sua propria morte, che verrà accelerata e provocata, almeno più immediatamente, proprio dal miracolo della risurrezione di Lazzaro, come ci dirà subito dopo l'Evan¬gelista: «Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione» (vv. 47 48). Ma proprio dalla sua mor¬te, che sarà coronata dalla risurrezione, Gesù riceverà il massimo della 1«gloria», secondo tutta la tematica teologica del quarto Vangelo.
Cosicché è evidente che nella intenzione di Giovanni il miracolo della risurrezione di Lazzaro non solo vuol dimostrare che Gesù ha potere sulla morte, ma vuole in un certo senso anche prefigurare e anticipare la storia della sua imminente passione, morte e risurrezione. Lazzaro di¬venta così come il «tipo» o, meglio, la «profezia» della risurrezione di Cristo.
Alla luce di queste considerazioni possiamo comprendere anche me¬glio la densità delle solenni affermazioni di Gesù, in risposta alle richie¬ste di Marta, e che rappresentano il punto culminante di tutto il rac¬conto: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (vv. 25 26).
Gesù è la «risurrezione» non soltanto perché risuscita Lazzaro, ma soprattutto perché risusciterà se stesso e diventerà così fonte di risurre¬zione per tutti. Ed è «risurrezione» perché è «la vita», cioè la sorgente da cui scaturisce l'esistenza di ogni essere creato, e non soltanto degli uomini.
E’ chiaro che tutto questo è possibile solo a condizione di «credere» che egli viene da Dio, l'autore di ogni «vita» E’ per questo che egli pone a Marta la domanda, che è la chiave di volta di tutto il miracolo e anche del «significato» che esso porta con sé: «"Credi tu questo?". Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo"» (vv. 26 27). Cosicché questa richiesta di fede, che sembra quasi estranea alla logica del testo, in realtà ne rappresenta l'elemento risolutore ed il¬luminante.
Proprio la «fede» fa sì che la «risurrezione» sia già presente e operan¬te in ogni vero discepolo di Cristo, senza dover attendere l'ultimo gior¬no, come pensava anche Marta (v. 23): «Chi crede in me, anche se muore, vi¬vrà». E questo perché la vicenda del cristiano ripete la vicenda stessa di Cristo, che è ormai l'eterno Risorto.
Richiamare la risurrezione, però, significa richiamare anche il suo con¬trario, cioè la morte. Pur nella certezza della vittoria, che celebreremo nella Pasqua ormai imminente, non è male che anche noi come Cristo piangiamo la morte, nostra e degli altri: quella fisica, ma soprattutto quella spirituale. E’ il senso amaro e forte, nello stesso tempo, della Qua¬resima che vuole educarci alla speranza, senza nasconderci però la pre¬carietà e anche le difficoltà e sofferenze del nostro vivere quotidiano.



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Giovanni Paolo II

"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
Messaggio nel centenario della consacrazione del genere umano al Cuore divino di Gesù


Parole di Gesù Divina Misericordia a
Santa Faustina Kowalska
...le cose esterne non influiscono sulle sofferenze dello spirito e non procurano molto sollievo. Nel confessionale attinsi forza e consolazione venendo a sapere che ormai non avrei atteso a lungo per intraprendere l'azione. Giovedì, quando andai nella cella, vidi sopra di me un'Ostia sacra in una grande luce. All'improvviso udii una voce, che mi sembrava uscisse da sopra l'Ostia: “ In Essa sta la tua forza: Essa ti difenderà “. Dopo queste parole la visione scomparve, ma una forza misteriosa entrò nella mia anima ed una strana luce mi fece conoscere in che consiste il nostro amore verso Dio, e cioè nel fare la Sua volontà.
 


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