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ALLA MENSA DELLA PAROLA - AUTORI VARI  

Data inserimento: 14/05/2005
DOMENICA DI PENTECOSTE


Vangelo (Gv 20, 19-23)
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.


Nel descriverci il misterioso evento della discesa dello Spirito, san Luca ripetutamente annota il senso di «stupore» e di meraviglia che prese allora la gente: «Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti, e fuori di sé per lo stupore dicevano: "Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei?" ... » (At 2,6 7).
E’ lo stesso sentimento che afferra oggi anche noi, che quell'evento andiamo rimeditando e nella celebrazione liturgica misteriosamente rendiamo presente in tutto il suo significato e in tutta la sua forza.
Anche se mancano i segni esterni del «vento impetuoso» e delle «lingue di fuoco», lo Spirito di nuovo si comunica a tutti i credenti nel Cristo risorto: esso è il frutto più maturo della Risurrezione del Signore. E' quanto ci ricorda il meraviglioso Prefazio odierno: «Tu hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo, che agli albori della Chiesa nascente ha rivelato a tutti i popoli il mistero nascosto nei secoli, e hai riunito i lingua della famiglia umana nella professione dell'unica fede».
Ed è proprio alla forza dello Spirito che vorremmo affidarci per poter «balbettare» qualcosa di lui. Come si potrebbe infatti dire qualcosa di lui, se egli stesso non ci ammaestra? Infatti, «noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per riconoscere tutto ciò che Dio ci ha donato» (1 Cor 2,12).
A prescindere da tante altre osservazioni che potremmo fare, due mi sembrano particolarmente significative nel racconto in cui san Luca condensa e riepiloga tutto il significato del libro degli Atti; la prima è il voluto rimando alla pattuizione dell'alleanza ai piedi del Sinai 1 e la seconda è la «novità» di questo immenso popolo di Dio («Parti, Medi, Elamiti», ecc.) che nasce dalla potenza creatrice dello Spirito ed è composto degli abitanti di tutta la terra, al di là di ogni barriera di lingua e di razza.
E’ evidente il rimando alla scena del Sinai, in cui Dio pattuisce la sua alleanza di amore e di fedeltà con Israele sulla base delle «dieci parole», o decalogo: anche lì una scena di sommovimento, di clamore, di fiamme brucianti e di fuoco. «Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace. Tutto il monte tremava molto... Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono» (Es 19,18 19).
E’ chiaro che tutto questo linguaggio immaginifico ha più valore teologico che storico: sta cioè a significare la trascendenza e l'inaccessibilità di Dio che, pur tuttavia, si avvicina all'uomo per rinnovarlo e trasfigurarlo. Ogni contatto con Dio lascia le tracce del suo passaggio, come il fuoco che brucia e purifica, o come il tuono che si trascina dietro l'eco a rimbalzo del suo esplodere: la parola di Dio perfora la tardità di ascolto anche dei sordi!
Proprio a motivo di queste rassomiglianze sembra sicuro che san Luca abbia voluto presentare la Pentecoste cristiana come la «inaugurazione» ufficiale del «nuovo» patto di Dio con il suo popolo, quasi a ideale continuazione del vecchio patto del Sinai. In realtà anche in Israele, con l'andare del tempo, l'antichissima «festa delle settimane», che si celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua (di qui il nome greco «Pentekostés», cioè «cinquantesimo» giorno) e che in origine era solo un rito agricolo (l'offerta delle primizie), aveva assunto il significato di celebrazione dell'alleanza e del «dono» della Legge che Dio aveva fatto al suo popolo.
Anzi, secondo la tradizione giudaica posteriore, ripresa anche da Filone,' la voce di Dio, potente come il «tuono», risuonante in mezzo al «fuoco», si sarebbe allora come divisa e articolata in 70 «lingue», perché tutte le nazioni della terra potessero udire e comprendere la «legge» del Signore. Di qui forse la descrizione analoga di Luca: «Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro, ed essi furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,3 4).
Se però c'è una certa analogia di situazioni, il significato e i contenuti della nuova «alleanza» di Dio con il suo popolo sono completamente diversi.
Qui non viene promulgata nessuna nuova legge, che pur sarebbe stata un grandissimo dono, ma viene dato solo lo Spirito, e dato in abbondanza, tanto che esso si rende clamorosamente visibile e percepibile, come una forma di contagio che afferra tutti. Lo Spirito Santo è la nuova «legge» del cristiano: dal di dentro egli, nella dolcezza e nell'amore, dirà a ciascuno quello che è bene e quello che è male e ci darà anche la forza per adempierlo.
E’ la realizzazione della grande profezia di Geremia: «Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo» (Ger 31,33; cf anche Ez 36,25 27). Il dono dello Spirito produce necessariamente anche uno stile di vita «nuova»: è l'interiorità dell'uomo che viene valorizzata e chiarificata, al di là di tutti i comportamenti esterni, molte volte solo formalistici, o frutto di calcolo e di convenienza.
La «novità» fondamentale della Pentecoste cristiana, dunque, in rapporto a quella ebraica, è che Dio non è più presente in mezzo al suo popolo mediante il dono della «legge», che può ben anche dirsi una sua rappresentanza «vicaria», ma mediante «lo Spirito del Figlio suo» (cf Gal 4,6), cioè con la totalità di se stesso.
E appunto per questo, anche il popolo nuovo che egli raduna intorno a sé non è più soltanto Israele, ma sarà formato da tutte le nazioni della terra. Perciò Luca ha interesse a presentarci i numerosi pellegrini, accorsi a Gerusalemme in occasione della festa della Pentecoste, come i rappresentanti dell'universalità delle nazioni, che Dio ormai chiama alla salvezza mediante l'annuncio fatto dagli Apostoli che egli ha «riempiti di Spirito Santo» (At 2,7 11).
Veramente, come si legge nell'antifona di ingresso, in una forma piuttosto adattata, «lo Spirito del Signore ha riempito l'universo; egli che tutto unisce, conosce ogni linguaggio» (Sap 1,7).
Comunque si voglia interpretare il prodigio delle «lingue», nella intenzione di Luca esso sta certamente a significare la forza «unificante» dello Spirito che porta tutti all'accettazione dell'unica fede. E lo Spirito opera contemporaneamente su due fronti: nel cuore e sulle labbra degli Apostoli, inebriati della sua presenza, che riescono a comunicare convincentemente il Vangelo della salvezza; nel cuore e nelle orecchie degli ascoltatori, che si aprono docilmente alla forza penetrante della Parola.
Cosicché «il parlare in lingue» continua prodigiosamente a verificarsi anche oggi, quando in tanti, da tutte le parti della terra, crediamo nell'identica verità rivelata e celebriamo insieme «le grandi opere di Dio» (cf v. 11), come commenta sant'Agostino: «Quella Chiesa così poco numerosa, che parlava tutte le lingue, era il simbolo di questa grande Chiesa che si estende dalle regioni dell'Oriente e dell'Occidente, e parla le lingue di tutti i popoli... Così noi siamo ancora in possesso del dono di parlare tutte le lingue, perché siamo le membra di un corpo in cui esse sono tutte parlate».'
Non per nulla la tradizione patristica ha visto nella scena di Pentecoste l'antitesi della storia della torre di Babele (Gn 11, 1 9), la cui lettura ci viene proposta anche dalla Liturgia per la Messa della vigilia della festività odierna.
La forza «unificante» dello Spirito, in ordine alla costituzione della Chiesa come «corpo di Cristo», è particolarmente messa in luce dalla seconda lettura, ripresa dalla prima Lettera di Paolo ai cristiani di Corinto.
Parlando dei «carismi», cioè di quei prodigiosi doni che Dio aveva suscitato nella comunità di Corinto in modo così ricco e variegato, l'Apostolo si preoccupa di regolarne l'uso in modo che servissero veramente per «costruire» la Chiesa e non per contrapporre gli uni agli altri, creando invidie, risentimenti, strani giochi di prestigio, quasi che fossero stati concessi per primeggiare e non piuttosto per servire.
Perciò san Paolo ne mette prima di tutto in evidenza l'origine dall'unico e identico Spirito: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (1 Cor 12,4 7).
Siamo dunque davanti a una «molteplicità» di doni e di servizi, che Dio dispensa alla sua Chiesa: egli è sempre originale, non vuole appiattire i credenti in un unico stampo. E così che nella Chiesa c'è posto per tutti, ognuno porta quello che ha di più tipico: ed è chiaro che per realizzare questa «tipicità», ognuno deve utilizzarsi fino in fondo! Il vivere «insieme» la nostra avventura di fede ci obbliga alla inventività e alla continua novità, e a dare il meglio di noi. Però accanto alla molteplicità l'Apostolo sottolinea fortemente lo sforzo dell'«unità»: «A ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per l'utilità comune». E per essere anche più convincente porta l'esempio del corpo umano: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (v. 12).
Il «molteplice» diventa un principio di dissoluzione dell'organismo, quando non tende a costruire il «tutto»: l'unità rende ricco il molteplice, perché gli permette di realizzare qualcosa che vale più delle singole parti. Così è nella Chiesa, che nasce solo nella misura in cui i singoli membri si trascendono per convergere in una fondamentale unità di fede, di amore e di opere: al di fuori di questo, i credenti sarebbero come atomi vaganti, incapaci di inserirsi nell'opera della salvezza e di testimoniare Cristo come «capo» del suo «corpo» che è la Chiesa.
Ma chi opera questo «raccordo» tra la «molteplicità» e la «unità» nella Chiesa è, per Paolo, lo Spirito, che nel giorno di Pentecoste operò il prodigio dell'ascolto, nella «lingua» di tanti, dell'unico messaggio della salvezza annunciato dagli Apostoli: i «magnalia Dei» sono percepibili dagli uomini al di là delle loro divisioni di lingua, di cultura, di razza, perfino di religione!
Perciò, quasi preoccupato che la pur doverosa affermazione del «particolare», che è in ogni carisma, possa nuocere al disegno di «unità» che si realizza nella Chiesa, san Paolo insiste nel far vedere come tutto in noi derivi dallo stesso e «unico» Spirito: «Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo... E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverati in un solo Spirito» (vv. 3.13). L'ortodossia della fede in Gesù come «Signore», la fedeltà al nostro Battesimo e alla nostra Confermazione, che è come il nostro «abbeveramento» (v. 13) alle sorgenti della grazia e della forza per la nostra lotta di ogni giorno, sono prodotte in noi dalla continua azione dello Spirito.
E anche il potere che la Chiesa ha di «rimettere i peccati» viene dal «dono» dello Spirito, che Gesù alitò sopra i suoi discepoli la sera stessa di Pasqua, secondo il racconto del Vangelo di Giovanni di cui ci siamo in parte già occupati nella seconda Domenica di Pasqua: «Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi> (Gv 20,21 23).
Ed è chiaro che anche questo «potere» tende essenzialmente a costruire, o a «ricostruire», la Chiesa. Niente, infatti, più del peccato disgrega la comunità dei credenti, che è essenzialmente comunità di amore e di grazia: il peccato è invece ribellione a Dio e chiusura verso i fratelli, Esso rappresenta, in concreto, una situazione di ostilità e di «rottura»: di qui il dono della «pace», offerto da Cristo nel momento stesso in cui «alita» sui discepoli la potenza dello Spirito.
Di nuovo, da questo testo di Giovanni appare che lo Spirito è dono soprattutto «ecclesiale» e che affidarsi a lui, senza paura e in piena docilità, è per la Chiesa una necessità e una ragione di vita. Solo così essa «ringiovanirà» e farà «ringiovanire» anche il mondo, sempre più infrollito nella decrepitezza del male e del peccato.


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"Desidero esprimere la mia approvazione e il mio incoraggiamento a quanti, a qualunque titolo, nella Chiesa continuano a coltivare, approfondire e promuovere il culto al Cuore di Cristo, con linguaggio e forme adatte al nostro tempo, in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future nello spirito che sempre lo ha animato"
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Verso sera, mentre pregavo, la Madonna mi disse: “ La vostra vita deve essere simile alla Mia vita: silenziosa e nascosta; essere unite incessantemente a Dio e pregare per l'umanità e preparare il mondo per la seconda venuta di Dio “.
 


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