Data pubblicazione: sabato 4 gennaio 2003
|
|
RUBRICHE - VIVERE INSIEME
Meglio soli che mal’accompagnati
Durante le feste di Natale molti giovani alternano a sentimenti di gioia, di euforia, di allegria, momenti di malinconia, di solitudine. In un clima di grande festa, sperimentano la condizione di essere angosciati, di vivere una dicotomia così profonda da non desiderare altro che arrivi il capodanno, vera festa giovanile ricca di veglioni, uscite, divertimenti, balli, per esorcizzare questo clima mesto e insignificante. E’ il nulla, la de-semantizzazione, la mancanza di senso e di significati che attanaglia l’esistenza dei giovani e non solo. Ci si trova da soli, con le proprie paure, con l’incapacità di dire buon natale, con il fastidio di dover aprire i regali, con giornate così lunghe da dover colmare con chissà che cosa. Eppure si desiderano tanto queste vacanze, quando si è al lavoro o a scuola, non si vede l’ora che arrivino e quando sono arrivate, dopo un po’, non si desidera altro che riprendere le ordinarie occupazioni. In realtà ci si sente soli. La solitudine è un dato permanente, ma ambiguo della condizione umana: da una parte può presentarsi positivamente come aspetto di integrazione di sé, di sperimentazione della propria autonomia di vita; dall’altra, negativamente, come incapacità di intessere relazioni sociali.Questa solitudine interpella ciascuno di noi nel pensare a come porre le condizioni per mettersi in ascolto del nostro essere originale e profondo, come sentirci in rapporto e non in situazione di simbiosi parassitaria con gli altri, con le istituzioni, con Dio (almeno per chi ci crede). La solitudine non è, in prima istanza, la condizione di chi è solo e senza rapporti, ma l’espressione di un essere spirituale che essendo unico al mondo è irriducibile al gruppo sociale. Proprio da questa prospettiva la solitudine è la condizione assoluta della vita dello spirito, l’espressione della maturità personale. Chi non si è trovato da solo di fronte alle grandi scelte, chi non ha sperimentato di trovarsi ad un bivio senza più amici a fianco? Eppure se non fosse stato per quei momenti, vissuti tra sé e sé, non saremmo mai cresciuti. Ci si accorge che senza di lei non si può essere sé stessi. Senza la capacità di vera solitudine, lontani dal frastuono della massa, non c’è profondità d’esistenza, non c’è equilibrio nel proprio essere, né vera libertà dai legami terrestri e neppure relazioni autentiche con gli altri. La solitudine può essere pensata allora come valore, come identità personale, come forza di sviluppo verso una personalità compiuta. Senza questo orizzonte assiologico, non solo l’uomo non giungerebbe ad avere una visione del mondo personale, un’autentica reciprocità affettiva, dato che questa implica sempre un desiderio profondo di condivisione, oltre che di accettazione, rispetto e promozione della reciproca alterità. Se così non fosse, si correrebbe il rischio di cadere nel solipsismo o nell’egoismo più sfrenato, precettando se stessi come misura unica della propria coscienza e delle proprie e altrui azioni. La risposta giusta a questa metrica, che non può e non deve essere necessariamente un male, è la sana alternanza tra i momenti della vita sociale con momenti di preziosa concentrazione su di sé, di ascolto della propria verità interiore (che è poi quello che più ci spaventa). E’ urgente riscoprire il valore di una solitudine vissuta come condizione della propria e irrepetibile originalità e non come condizione d’isolamento spaziale. Occorre darsi un metodo, un metodo di ricerca esistenziale che faccia passare dalla conoscenza convenzionale e acritica alla piena coscienza e all’appartenenza di sé per non rischiare di rimanere sommersi dalla marea della pressione sociale o per non essere frastornati dal bombardamento della comunicazione sociale. Da sempre la chiacchiera, anche quella della chat via internet, è un segno evidente di superficialità di vita e di inautenticità d’esistenza (seppure talvolta può sbocciare un amore on-line). Anche l’uomo imbrigliato dal mondo della produzione e mitizzato come misura unica delle proprie azioni rischia l’alienazione completa da sé se non sa habitare secum. Si tratta di condurre noi stessi verso viali silenziosi, verso pause feconde di solitudine contemplativa, ascoltando l’originalità della nostra parola con quelle logorrea offerta dalle culture e dai contesti sociali che abitiamo. Una grande educatrice del secolo scorso, Maria Montessori, aveva elaborato una pedagogia atta alla scoperta attiva di un affascinante “mondo del silenzio” riguardante la natura, le cose, le persone, Dio stesso. Se poi vi sentite soli, accendete la radio dalle 22 alle 24, su Radio Onda Verde (FM 98 e 99.2) , nella trasmissione “Questa sera ti ascolto io” si parla di Giovani e dei loro problemi. Comunque auguri a tutte quelle persone che non hanno scelto la solitudine ma si sono ritrovate sole, possa questo corsivo dare loro quella scintilla per sfruttare positivamente la loro condizione e trasformarsi in maestri di vita per i tanti che vivono anonimi nella folla.
Don Salvatore Danilo DAlessandro
|