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Data pubblicazione: mercoledì 20 settembre 2006  

RUBRICHE - SAGGI DI STORIA CALABRESE

IL CONVENTO BASILIANO DI CIANO

IL CONVENTO BASILIANO DI CIANO
di Giuseppe Calzone

( responsabile alla cultura dell’Associazione Pro Loco di Mileto )



I NORMANNI E I MONACI BIZANTINI IN CALABRIA

Cenni sulle risorse umane e materiali e sull’ordinamento della società medievale

Ciano di Gerocarne , 27 novembre 2004

Nel porgere il mio saluto a tutti gli intervenuti e alle Autorità ringrazio gli organizzatori di questo Convegno per la loro ammirevole iniziativa che tende a far conoscere la plurisecolare storia di Ciano e del suo convento basiliano .Un ringraziamento particolare va al nostro Vescovo, Mons. Domenico Tarcisio Cortese; grazie a Lui possiamo ammirare preziosi oggetti liturgici appartenuti al Convento di Ciano, tra i quali una bellissima Croce astile bizantina .

In questo mio intervento mi propongo di parlare della politica dei conquistatori normanni verso le comunità religiose del meridione d’Italia nell’XI secolo, poiché altri relatori ed in particolare il dr. Pasquale del Giudice, autore del libro sul convento basiliano di Ciano affronteranno l’ argomento oggetto del convegno.

Parlerò poi delle risorse umane e materiali e dell’ordinamento della società medievale in Calabria, commentando alcuni documenti che riguardano il Monastero di Ciano.

L’Idea di un Regno normanno

La politica normanna in campo religioso era ispirata ai patti stipulati con il Papa nel 1059 a Melfi. I normanni con Roberto il Guiscardo ( che ottenne il titolo di duca di Puglia e Calabria) , per avere la legittimazione delle loro conquiste, s’impegnarono a riportare sotto l’autorità della Chiesa di Roma i territori conquistati , perciò sostituivano i monaci basiliani e i vescovi di rito greco con abati e vescovi latini. Questi monaci erano veri e propri feudatari: amministravano possedimenti e godevano di privilegi.

La storia della conquista del sud da parte di Roberto il Guiscardo e del Gran Conte Ruggero (suo fratello minore), è divenuta un mito.Essi, approfittando delle divisioni esistenti tra le popolazioni , conquistarono la Calabria in appena 12 anni, dal 1048 al 1060. Mentre la conquista della Sicilia, che era in mano agli arabi, durò dal 1061 al 1091 e fu il Gran Conte Ruggero a completarla, poiché Roberto il Guiscardo morì nel 1085.

A Mileto il Gran Conte Ruggero , stabilì la sua corte e vi fondò una Zecca per battere moneta, abbellì la cittadina, che in origine era un borgo bizantino, con chiese e palazzi. Sempre a Mileto sposò la prima moglie Giuditta d’Evreux e qui vide la luce Ruggero II ( futuro re di Sicilia), nato dalla terza moglie del Gran Conte ,Adelaide del Vasto. A Mileto nel 1081 il Gran Conte fece istituire la sede episcopale che fu la I diocesi latina del Meridione e qui morì nel 1101 ,assistito da San Bruno, e fu seppellito nella Chiesa Abbaziale della SS.Trinità. (Giuseppe Occhiato: La Trinità di Mileto nel romanico italiano; Ed. progetto 2000, Cosenza)

Sempre a Mileto il Gran Conte Ruggero concepì l’idea di costruire un regno che poi sarebbe durato, passando da dinastia in dinastia (Svevi,Angioini,Aragonesi,Borboni) fino al 1860, data dell’unità d’Italia (Salvatore Tramontana: “I Normanni in Calabria” ,in I normanni in finibus Calabriae, Ed. Rubbettino, 2003).

Nel costruire il loro regno i normanni dovettero affrontare molte difficoltà dovute alla presenza sui territori occupati di varie religioni. Secondo lo storico inglese Donald Mattew ( I Normanni in Italia, Laterza ,1997) essi non avevano precedenti che li guidassero nel modo di trattare gli Arabi, che erano in Sicilia, e i sudditi cristiani che erano in Calabria e nel resto del meridione. All’inizio trattarono con durezza sia i greci (bizantini) che i mussulmani . Ma in seguito furono piuttosto tolleranti delle diverse tradizioni. Un cronista arabo, Ibn-al Atîr scrisse che il Gran Conte Ruggero non lasciò officine,mulini o forni a nessuno dei Greci,Mussulmani o Franchi (normanni) con ciò si riferiva alla rigida politica fiscale del Gran Conte verso i sudditi. Mentre il figlio, re Ruggero II, allontanandosi dalla mentalità accentratrice dei franchi istituì a corte nuove cariche inserendo nell’amministrazione del Regno elementi prima esclusi ( E.Caspar – Ruggero II – e la fondazione della monarchia normanna in Sicilia; Laterza, ) .

Rapporti con le comunità greco-bizantine

Nell’Italia meridionale i greco- bizantini persero la loro autonomia ecclesiastica quando i loro vescovi furono obbligati ad ubbidire alla Chiesa di Roma , mantennero però i loro riti.La lingua greca rimase la lingua della cultura e dell’amministrazione, infatti sia il Gran Conte Ruggero che il figlio Ruggero II, quest’ultimo prima di diventare re, emanavano la maggior parte dei loro documenti in greco ( in greco è il documento cosiddetto “Sigillum aureum” che contiene l’atto di fondazione della Diocesi di Mileto ). Ruggero II dopo l’incoronazione del 1130 firmava i documenti latini con il nome in greco.

Mentre i vescovi greci in Calabria furono sostituiti con vescovi latini o dovettero accettare la giurisdizione del Papa, i monaci mantennero i loro legami con Costantinopoli, capitale dell’Impero romano d’Oriente , e con il Monte Athos, centro spirituale del monachesimo bizantino.

I monaci bizantini lasciarono molte tracce della loro attività perché molti cenobi e monasteri (come questo di S.Pietro Spina di Ciano) conservarono documenti legali o religiosi attraverso i quali è possibile risalire alla vita sociale delle comunità greche.I Grandi monasteri furono protetti da Ruggero I e dalla sua famiglia mentre quelli piccoli erano sostenuti dalle popolazioni o dai signori locali.Lo studioso H.Houben ( Medioevo monastico e meridionale ,Napoli 1987) osserva come i normanni non disdegnassero di essere menzionati nelle preghiere dei monaci greci e non erano loro ostili , al contrario facevano loro delle donazioni per essere commemorati nei loro dittici. In definitiva se le popolazioni erano greche erano rimanevano greci anche i monaci .

I condottieri normanni si facevano seppellire in chiese mausoleo ( La Trinità di Venosa per Roberto, la Trinità di Mileto per Ruggero) così copiando un modello concettuale orientale, infatti nella chiesa dei SS.Apostoli a Costantinpoli si trovavano i sepolcri degli imperatori bizantini. Così i normanni traevano legittimazione e prestigio appropriandosi dell’ideologia dell’Impero d’Oriente secondo la quale il potere si legava in modo preminente alla funzione di rappresentare il Cristo sulla terra. Infatti, nei mosaici della Chiesa Martorana di Palermo, Ruggero II è raffigurato in sfarzosi abiti bizantini mentre si fa incoronare da Cristo in persona.Ed i normanni facendosi seppellire nelle chiese mausoleo intendevano subentrare, e subentravano, all’imperatore bizantino nel sud d’Italia.

I monasteri e i cenobi bizantini erano molto numerosi, ma non ricchissimi, i normanni per poterli controllare decisero di raggrupparli in unità più grandi in modo da disporre di risorse adeguate in ciò seguendo il sistema della dipendenza di molti monasteri bizantini da quello del Monte Athos in Grecia. Su consiglio di S.Bartolomeo da Simeri, fondatore del Patirion di Rossano, Ruggero II nel 1131 elevò il capo del monastero S.Salvatore di Messina alla carica di archimandrita di una congregazione di circa 40 monasteri.

Le risorse materiali ed umane e l’ordinamento della società

Lo spaccato dell’economia calabrese nell’XI,già delineato da studiosi medioevisti, viene confermato anche dai documenti riguardanti il Convento di Ciano. Questo monastero fu fondato presumibilmente tra il 1075 e il 1080 da frate Gerasimo, suo primo igumeno (priore) . Il suo testamento ci consente di capire su quali risorse materiali ed umane poteva contare il cenobio : Frate Gerasimo fondò il monastero su un piccolo appezzamento avuto dal padre; dice di coltivarlo servendosi dei suoi agricoltori (villani) e delle sue mani. Intorno ad esso vi era la vigna ed al monastero appartenevano altri appezzamenti di terreno in varie località . Facevano parte del paesaggio agrario anche gli uliveti . Nel testamento sono menzionati oltre all’arredo liturgico, anche le attrezzature che erano costituite da 10 botti,20 tini,10 zappe,4 mortai ,coltelli per potare,tenaglie,tegami grandi e piccoli ed altri arnesi. Inoltre vi era del bestiame consistente in 6 coppie di buoi, 6 asini e due giumente.Certamente vi era un mulino, del quale rimangono i ruderi accanto al torrente “Pòtami”, che testimonia la produzione di frumento.

Questi dati confermano assieme ad altri ( vedi anche il testamento dell’anno 1198 di Giovanni Scullandi ,signore di Aieta , pubblicato nel libro di Del Giudice) quale fosse il paesaggio agrario diffuso in tutta la Calabria intorno all’anno Mille: Oliveti e vigne erano posti a ridosso dei centri abitati.Nell’ultima fase della dominazione bizantina era più diffusa la vigna dell’uliveto.Il vino ed il pane erano alla base dell’alimentazione della quale facevano parte anche i grassi animali .Intorno ai centri abitati e ai monasteri vi erano anche delle colture orticole (Barbara Rotundo: Paesaggio agrario calabrese in età normanna ,in I normanni in finibus Calabriae ,Rubbettino,2003) . Cereali e vite erano pertanto le colture preminenti.La cultura dei cereali era basata sul maggese, attuabile con poca spesa, e sul riposo dei terreni. Per cui il ciclo più ricorrente era quello biennale in base al quale si alternavano cereali invernali e maggese. Negli atti dei monasteri greci ( monastero di S.Giovanni a Théristes ,1101-1102) si parla di abbondante produzione di vino,grano ed olio. In epoca bizantina oltre alle coltivazioni vi era il cosiddetto incultum (la foresta) che poteva essere sia di proprietà privata che pubblica; nell’incultum (silva) avveniva la raccolta dei frutti spontanei,del legname per costruire e per altri usi; i castagneti erano diffusi in tutta la regione In parecchi atti si fa riferimento a mulini ad acqua o pressoi d’olio. Importanti perciò sono anche i documenti legali e religiosi del convento di Ciano, che meritano di essere ancora di più approfonditi per trarne altre notizie preziose .

Nel testamento di Frà Gerasimo si fa riferimento alla coltivazione del campo del monastero di Ciano con i contadini , oltre che dall’abate con le proprie mani;nelle abbazie latine non è dato incontrare abati che zappano la terra.Questo era forse uno dei motivi che avvicinavano i monaci italo-greci alla popolazione: essi oltre che per la loro religiosità erano benvoluti per la condizione dimessa e umile in cui vivevano. Il riferimento contenuto nel testamento del frate di Ciano ci induce a tratteggiare brevemente la condizione dei villani, che erano legati alla terra e ne seguivano la sorte in caso di trasferimento da un soggetto ad un altro. Nel privilegio del 1200 Gian Francesco de Arenis,Conte di Arena, donò al convento di Ciano dei villani. Questi sono indicati per nome e cognome; a volte è indicato il nome del capo famiglia e genericamente i figli. I loro obblighi erano indicati espressamente : dovevano dare e consegnare ogni anno al monastero l’erbatico ( tassa per il pascolo di erbivori) e il ghiandaggio (tassa per il pascolo dei suini) come tutti gli altri villani del dominio (feudo di Arena ) “ e cioè 1) a natale una gallina,due pani,un troncone (capicollo),il lombo del porco che uccidevano e metà della sugna; 2)A Pasqua due buccellate (grossi pani ) e una corolla di pane con dieci uova; 3)nella festività di S.Pietro una matassa ( di lana?); 4)Durante la vendemmia dovevano fornire i cerchi per la riparazione delle botti ,e per angaria e perangaria (prestazioni personali) , due giornate di lavoro la settimana; 5)Per perangaria dovevano fornire dodici giornate lavorative, delle quali tre durante la vendemmia,tre durante le semine,tre alla mietitura,e tre nell’aia durante la trebbiatura.

Altri uomini, indicati espressamente, dovevano dare e consegnare al monastero annualmente:

Erbatico e ghiandaggio; una giornata lavorativa la settimana;tre giornate lavorative alla mietitura,tre alle semine, e tre alla vendemmia, nella festività di S.Pietro una matassa ( di lana?);a Natale una gallina e due pani ; A Pasqua una corolla di pane con dieci uova.

Al monastero venne pure concessa la libertà di avere tenere e possedere boschi, colture, terre, campi, oliveti, verzieri, giardini, orti, acquedotti, mulini, battenderie. E la selvaggina uccisa dal cacciatori nei possedimenti del monastero spettava per un quarto allo stesso monastero .

Si evince, anche da tale documento che in Calabria affittuari e villani avevano tipi differenti di obblighi e che il ceto contadino non era affatto uniforme.Nel XIII secolo sembra che la condizione dell’angarius fosse considerata la più bassa delle condizioni sociali, essi non potevano aspirare ad alcun incarico pubblico. Comunque, le condizioni praticate ai suddetti “vassalli” e villani nello Stato di Arena e Soreto erano così gravose che questi erano restii ad accettare gli affitti dei territori ed altri corpi feudali, e di soggiacere a diritti,angarie e parangarie.Tanto si evince da scritti pubblicati nel libro del dr. Del Giudice: “Il convento basiliano di S.Pietro Spina di Ciano”. Nonostante tutto, in Calabria, come in altre parti del regno (Sicilia) l’unico modo per acquistare diritti sui terreni era quello,da uomini liberi, di diventare villani, pagando decime, tributi e facendo servizi (prestazioni personali come quelle descritte) per aver poi la possibilità di trasferire i diritti ai propri eredi secondo un uso delle signorie latine:per i greci,infatti, era importante acquisire così beni familiari.

In generale dall’esame dei documenti la Calabria nell’epoca medievale appare come un mosaico di comunità rurali ed anche urbane distinte e preoccupate di assicurarsi dei diritti e delle condizioni migliori nei confronti dei signori del luogo.Esemplare e la storia dei contadini asserviti al Monastero di S.Stefano del Bosco (Serra S.Bruno) che ottennero il diritto di appellarsi a Federico II contro i tentativi di abusi dell’abate Ruggero (Donald Mattew,opera citata) .

Finisce qui il mio contributo a questo convegno. Mi sono proposto di affrontare gli argomenti trattati in chiave di conversazione con i cittadini di Ciano e con gli amici presenti, senza pretese di scientificità, la quale appartiene, e non può che appartenere agli studiosi specialisti della materia .

Giuseppe Calzone

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